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"La donna di Zante"

 

LA DONNA DI ZANTE

( tratto dalla pubblicazione a cura di Ines Di Salvo)

 

Il sottotitolo della edizione italiana curata da Ines Di Salvo e pubblicata nei “Quaderni dell’Istituto di Filologia greca dell’Università di Palermo” con il nome di Visione di Dionisios  (La Donna di Zante).

Opera tra le più ardue e suggestive del poeta greco Dionisio, più comunemente nota col titolo La Donna di Zante datole nel 1827 dal suo primo editore, si è imposta nel corso degli anni all’attenzione di letterati e studiosi per l’indiscussa qualità e modernità della scrittura come per la miriade di problemi filologici ed interpretativi che essa pone.

Se nel personaggio centrale si è di volta in volta voluto  individuare una più o meno lontana parente di Solomos, un’allegoria del protettorato inglese sulle Isole Ionie, una simbolizzazione della Discordia o un’estrinsecazione delle inquietudini psicologiche o delle ansie esistenziali e metafisiche dell’autore, non minori difficoltà i critici hanno incontrato nella definizione e nell’inquadramento generale del testo, classificato ora come satira, ora come narrazione di stampo romantico e persino come racconto gotico o grottesco.

Composta in una prosa ritmica di chiara ascendenza biblica ed in qualche punto  riecheggiante l’Hypercalypseos del Foscolo, nei propositi di Solomos la Visione di Dionisio veniva in realtà ad inaugurare quella ricerca del genere nuovo che tanta parte ebbe  nell’elaborazione della sua poetica.

Il registro fondamentale della Visione è in ogni fase del suo accidentato percorso e ad ogni livello del racconto, quello dell’ambiguità. Ambigua è in primo luogo, la concezione iniziale dell’opera, in bilico tra il piano dell’immanenza insito nell’ispirazione nazionalistica e quello della trascendenza implicito nella rappresentazione dei valori etici. Ambiguo è il modulo espressivo prescelto, che non è prosa e non è poesia e che comunque contempera le sublimità del linguaggio lirico e profetico e la volgare bassezza del linguaggio satirico e mimetico.

Ambiguo è il ruolo dello Ieromonaco, che trascorre fra gli opposti poli della distanza e dell’identificazione ed ambigua risulta di conseguenza la distinzione tra “descrizione” e “diesegi”.

Abigui sono i confini tra realtà e visione come ambigui sono quelli tra mondo fisico e mondo psichico (il corpo come dimora dell’anima e l’anima che tartaglia; la luce degli occhi come sapienza dell’intelletto; i ceri sull’erba come linea di demarcazione tra i due mondi ecc..

Sul modulo dell’ambiguità finalmente riposa la strutturazione superficiale e profonda della narrazione, tutta giocata sul ribaltamento della realtà apparente in base a una tecnica di ribaltamento à rebours, per  cui ogni elemento del racconto si disvela nella sua verità in ragione diretta della sua illusorietà

In tale particolare ottica non lo Ieromonaco o la Donna, ma lo specchio è il protagonista assoluto della visione.

Ragionava in proposito J. Seferis,(letterato greco) che sul testo della Visione aveva esercitato il suo apprendistato poetico “Lo straniero e il nemico, lo vedremo allo specchio”.

Della più intima sostanza della Visione, Seferis colse anche per altro verso l’aspetto, individuando nella straordinaria duttilità dello strumento linguistico il suo elemento maggiore di suggestione.

La Visone è redatta in un greco demotico di rara presa emotiva, caratterizzata sul piano sintattico dall’uso sapiente della paratassi, sul piano lessicale dall’affiancarsi di tipi dialettali zantioti a termini di ascendenza biblica, sul piano morfologico e fonetico da una straordinaria varietà delle forme e delle uscite.

La varietà delle desinenze costituisce un preciso elemento di stile; essa si pone difatti in stretto rapporto di interdipendenza con la relativa, e ricercata, povertà del lessico, in maniera da risultare connotativa del registro linguistico nell’ambito di un ironico gioco di risonanze interne, per il quale personaggi o contesti diversi si avvalgono della medesima terminologia, ma ognuno all’interno di un proprio specifico codice mimetico o semantico.

Tale complesso impasto risulta in una lingua come l’italiano assolutamente irripetibile; nel tentativo di riprodurre in qualche modo l’essenza, nella traduzione che qui appreso si propone, benché ci si sia programmaticamente attenuti al criterio della resa uniforme di lessemi eguali, si è deviato da esso ogni qual volta l’articolazione morfologica o il costrutto sintattico rendessero necessaria la trasposizione a livello lessicale del registro semantico.

Ai numerosi problemi nei quali il traduttore della Visone si imbatte, se ne aggiunge per il traduttore  in lingua italiana uno supplementare e di non certo secondario rilievo, che è quello del bilinguismo del testo e dell’autore. Poiché buona parte delle note della Visione è redatta direttamente in lingua italiana, si potrebbe facilmente essere indotti ad adottare nella traduzione un linguaggio analogico nell’italiano aulico ed ottocentesco di Solomos.

Se il Merlier riteneva che “Le due lingue del testo risultano ridotte ad una sola nell’unità del pensiero”, le cose stanno in realtà ben diversamente.

Per struttura sintattica, prima ancora che per le scelte lessicali, l’italiano di Solomos si mantiene costantemente su un registro alto del tutto inadeguato per rendere il tono piano e colloquiale della parlata dello Ieromonaco o l’andamento nervoso e la coloritura triviale della parlata della Donna.

Proprio nella Visone del resto, quando dalle sublimità delle vette liriche si vede costretto a scendere alla prosaica bassezza della quotidianità, lo stesso Solomos abbandona l’uso dell’Italiano per formulare direttamente in greco il proprio pensiero, in un contesto di simultaneità assai eloquente dei meccanismi che stann alla radice del suo bilinguismo.

Tormentato dall’angoscia romantica della creazione poetica, Solomos, che non a caso poneva il “verso” nel novero delle più “violenti passioni” nelle quali si sarebbe dovuto incarnare il Diavolo nell’ultima redazione della Visione, con feroce autoironia collocava il testo tra le “meraviglie” dei poeti da strapazzo.

Summa del passato e anticipazione del futuro, approdo e ormeggio insieme, proprio una maraviglia è in verità la Visione, ma una meraviglia dello spirito e della parola, che con umiltà consegniamo alla benevolenza del lettore nella prima traduzione italiana di essa.