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"Dawan Daniela"

Daniela Dawan

Prima

Sono nata a Tripoli, in Libia, quando ci convivevano comunità diverse, arabi, ebrei, italiani, americani e inglesi. Conservo chiari i ricordi di questi mondi, vicini e lontani: il vecchio forno arabo in cui mio padre comprava il pane; la spiaggia lunga e profonda di estati interminabili; il circolo americano dove passavo ore alla ricerca dei bachi da seta sulle foglie dei gelsi; le gite domenicali all’altopiano di Garian, a Sabrata, a Leptis Magna.

E’ stato così fino alla mattina del 5 giugno 1967, quando per i drammatici eventi scaturiti dalla guerra in medio oriente abbiamo dovuto lasciare per sempre la città e la nostra casa; la tavola ancora imbandita per un pranzo che non si sarebbe mai consumato.

           Poi

I primi tre anni sono vissuta a Roma. Mio nonno materno, un avvocato pieno di passione per la sua professione, non smetteva di raccontare a me e a mio fratello affascinanti episodi della sua lontanissima giovinezza, della guerra, dei duelli alla sciabola a cui era stato sfidato, di casi professionali curiosi.

Quando gli avevo detto che avevo intrapreso a scrivere una storia d’amore che non prevedeva affatto un lieto fine mi aveva scoraggiato: “si scrive” aveva commentato, “soltanto di cose che si conoscono e tu, a undici anni, non sai cos’è l’amore.”    

Poi siamo venuti a Milano, ho fatto il liceo classico e mi sono laureata in legge, faccio l’avvocato penalista: a questa scelta non è estraneo l’interesse per le storie delle persone, per aspetti talvolta reconditi della loro vita. Anche i miei testi di diritto penale in qualche modo riguardano più direttamente le vicende umane, come i condizionamenti psichici o la capacità di intendere e di volere. L’amore per la scrittura però mi ha sempre accompagnato; progressivamente ho avvertito il bisogno di dare sempre più spazio alla fantasia e di superare  i limiti di un linguaggio mortificato dal tecnicismo.

Un riconoscimento ottenuto in un concorso nazionale per racconti indetto nel 2007 dall’associazione privata D come donna per il racconto breve Altopiani mi ha incoraggiato ulteriormente. Ho finito il testo su I nuovi confini dell’imputabilità nel processo penale avendo già in mente Non dite che col tempo si dimentica.

Nella mia testa riservo alla scrittura la stessa premurosa attenzione, la stessa trepida necessità che si prova per un amore appassionato e clandestino, per qualcosa divenuto indispensabile.